La terra in svendita. Il Colonialismo del terzo millennio

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La Repubblica | 31 gennaio 2009

Ettore Livini

Niente carri armati. Zero aerei, soldati e cannoni. Il neo-colonialismo del terzo millennio (copyright della Fao) va alla conquista di nuove terre da sfruttare a bordo di comodi trattori. Spargere sangue per annettersi un pezzo d' Africa, Asia o Sudamerica non serve più. Oggi - per alzarci la propria bandiera - c' è un metodo molto più semplice: comprarselo. Il Terzo mondo, messo in ginocchio dai dazi agricoli e dai capricci dei prezzi delle materie prime, si è messo in vendita. E i paesi più ricchi (ma non solo) - consci che tra pochi anni terra e acqua saranno risorse più preziose del petrolio - fanno già la fila per accaparrarsi le nazioni in saldo. Questo risiko sulla pelle delle aree più povere del pianeta è aperto a tutti. Si muovono governi, grandi aziende, fondi sovrani, persino i privati. Philippe Heilberg, ex banchiere a Wall Street e oggi numero uno della Jarch Capital (società dietro cui ci sono molti ex-uomini della Cia e del dipartimento di Stato Usa), si è regalato due settimane fa 400mila ettari di campi fertili in Sudan lungo le sponde del Nilo. Una maxi-fattoria grande come tutto il Dubai. Venditore: Gabriel Matip, figlio di Paulino, il signore della guerra che da anni controlla in punta di fucile queste zone. Il Madagascar ha "affittato" alla Daewoo per 99 anni 1,3 milioni di ettari, una superficie superiore a quella del Belgio e pari al 50% della terra arabile malgascia. Qui i trattori dei sudcoreani coltiveranno mais e olio di palma da destinare ai consumi interni di Seul. «L' intesa è solo all' apparenza commerciale - commenta Carl Atkins di Bidwell Agribusiness, società di consulenza che si occupa di questo tipo di transazioni - In realtà è sponsorizzata dal governo della Corea del sud nel nome degli interessi strategici nazionali di sicurezza alimentare». «Siamo di fronte a un fenomeno che non possiamo non catalogare alla voce del neo-colonialismo», ha lanciato l' allarme il numero uno della Fao Jacques Diouf pensando al 70% dei cittadini del Madagascar che vivono al di sotto della soglia della povertà. Ma fermare il vento con le dita è impossibile. La Cina - paese dove l' acqua (scarsissima) vale già come oro - ha messo le mani avanti dal 2007 comprando a suon di renminbi centinaia di migliaia di ettari nelle Filippine, in Sudan e Kazakhstan. La Libia ha barattato uno po' di barili del suo greggio per aggiudicarsi i diritti su un pezzo di Ucraina. Quindici investitori sauditi hanno puntato 4 miliardi di dollari per sviluppare 500mila ettari in Indonesia. Obiettivo: piantare riso Basmati da riesportare poi in Arabia. Il problema della Fao e delle organizzazioni non governative - allarmate per le drammatiche conseguenze sui milioni di persone che oggi campano coltivando queste terre - è che le vittime del neo-capitalismo, affamate di capitali e investimenti, sono le prime a mettere la testa sotto la ghigliottina. La Cambogia, ingolosita dalle intese indonesiane, ha messo in vendita pezzi enormi del paese. «Vogliamo incassare 3 miliardi - ha detto orgoglioso Suos Yara, sottosegretario alla cooperazione economica di Phnom Penh - Abbiamo contatti avanzati con Kuwait e Qatar». Che dalla sabbia dei loro deserti riescono a cavare solo petrolio. Stessa musica in Etiopia: «L' asta per i nostri campi è aperta, ci servono tecnologie e soldi», ha annunciato il primo ministro di Addis Abeba Meles Zenawi. Ad accelerare questo suk, che sta ridisegnando la mappa del mondo senza sparare una sola pallottola, è stata la bolla speculativa sui prezzi delle materie prime alimentari del 2008. Il problema, dicono i sociologi, è semplice. La popolazione del mondo cresce a ritmi vertiginosi mentre le superfici coltivabili sono più o meno sempre le stesse. Nel 1960 ogni essere umano aveva a disposizione 4.300 metri quadri del pianeta per il suo sostentamento alimentare. Oggi siamo scesi a 2.200 e nel 2030 il nostro "spazio vitale" sarà di soli 1.800 mq. Altro che dipendenza dal greggio: «Allargare la terra a disposizione dei propri cittadini sta diventando sempre più una priorità strategica per i governi che sanno guardare più lontano», dice Atkins. Quelli che non sono capaci (o non possono permettersi di farlo) invece vendono. Le cose tra l' altro, dicono gli esperti, rischiano solo di peggiorare. «La prossima emergenza si chiama acqua - sostiene Chiara Tonelli, docente di genetica all' università degli studi di Milano e consulente dell' advisory group sull' alimentazione della Ue - Il 70% delle risorse idriche viene utilizzato oggi per l' agricoltura e il cambio delle abitudini mondiali dalla dieta vegetale alla carne (per produrre un chilo di riso ci vogliono mille litri d' acqua, per un chilo di carne 45mila) aggraverà questo problema. Ragion per cui chi può va a comprarsi e consumare l' acqua degli altri». La Cina è l' esempio più lampante: a Pechino non manca certo la superficie arabile. Ma la cronica indisponibilità di sorgenti e fiumi ha convinto il governo da qualche anno ad adottare una certosina politica di acquisizioni di terra all' estero (da Cuba al Messico, dall' Australia all' Uganda fino alla Russia e alla Tanzania) che ha consentito di alzare la bandiera rossa su quasi 3 milioni di ettari in giro per il mondo. Il problema è chiaro (e antico): i paesi più potenti e ricchi si riempiranno in futuro la pancia a spese di quelli più poveri. Offrendo in cambio poco più di un piatto di lenticchie. Ma cosa si può fare per arginare questo fenomeno? La Fao, alle prese con un miliardo di persone che soffrono di fame (un numero che cresce invece di diminuire), ha proposto di avviare un piano di aiuti d' emergenza all' agricoltura delle nazioni più arretrate per non costringerle ad appendere il cartello "Vendesi" sulle proprie terre. Peccato che in piena crisi finanziaria i big del G-8 non trovino i soldi nemmeno per rimediare alle voragini aperte dalla loro finanza creativa. La scienza ha la sua ricetta: se le terre non si possono allargare, spiegano pragmaticamente nelle università, si può provare a farle rendere di più. «Oggi il 30% della produzione agricola è perso per stress come malattie e mancanza d' acqua - spiega Tonelli - Una cifra enorme. Basterebbe riuscire a rendere le piante più resistenti alla siccità o recuperare alla coltivazione i terreni marginali per disincentivare la convenienza economica allo shopping di terre all' estero». Una risposta di mercato forse più efficace degli appelli della Fao. Le conoscenze scientifiche per arrivare a questi risultati tra l' altro, grazie al sequenziamento dei genomi, ci sono già. Ma le resistenze alle modifiche genetiche, il crollo dei fondi per la ricerca e le lungaggini dei processi d' approvazione non autorizzano a sperare in una rapida soluzione scientifica alle esigenze alimentari del mondo. La via dunque è stretta ed è in questo crinale sottile che si tuffano tutti, dai governi ai bucanieri della finanza come Heilberg. «Agricoltura? Io non ne capisco niente - ha ammesso il numero uno della Jarch, ex manager della disastrata compagnia assicurativa Aig, dopo lo shopping in Sudan - So solo che questa è terra fertile in una zona instabile. E quando la situazione sarà tranquilla, con la richiesta di asset come questi che c' è in giro per il mondo, noi faremo grandi affari». Nessun rimorso per aver negoziato con un signore della guerra. «So che Paulino ha ucciso molta gente - ha confessato al Financial Times - ma l' ha fatto per difendere il suo popolo». Pecunia non olet, il denaro non ha odore. «Io ho tutti i giorni sotto il naso la mappa del mondo per andare a di nuove occasioni - conclude Heilberg - E sto già guardando al Darfur». Il neo-colonialismo - un' arte raffinata - riesce ormai persino a far combattere le sue guerre dagli eserciti altrui.

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