il fatto alimentare | 21 giugno 2011
Un nuovo rapporto del think tank californiano Oakland Institute, Understanding Land Investment Deals in Africa, rivela i nomi degli investitori europei e americani che partecipano in silenzio all’usurpazione delle terre in Africa.
Il rapporto non tralascia di considerare le disinvolte operazioni delle imprese di paesi emergenti come la libica Malybia in Mali o la saudita Saudi Star in Etiopia, ma si sofferma soprattutto su quanto viene realizzato dai fondi speculativi d’investimento dei paesi occidentali, che offrono rendimenti del 20-40% annui.
A fronte di così generose promesse di resa, anche spettabili enti come l'università di Harvard, la Vanderbilt University di Nashville o lo Spelman College di Atlanta hanno saputo “chiudere gli occhi”, ignorando dove e in che modo i loro risparmi vengono utilizzati. Cash is the king, negli Stati Uniti come in Europa e in Africa, e il concetto di investimento responsabile non tocca chi non è costretto a rispettarlo.
Ma qual è il prezzo, chi ne fa le spese? I fondi di investimento speculativi (hedge-fund) mettono la paglia (vale a dire, mettono sul tavolo le grandi somme per accaparrare enormi appezzamenti di terra), accendono il fuoco (cioé partecipano alla realizzazione delle infrastrutture che servono a realizzare mega-progetti di agricoltura intensiva) e quando la fiamma è viva, scappano. Dopo 5-6 anni dall’avvio delle operazioni, vendono le loro quote con exit-strategies dai profitti strabilianti, spesso pure esenti da imposte grazie alla connivenza con i governi corrotti che svendono i campi dei loro sudditi. A restare indietro, abbandonati a loro stessi, sono i popoli depredati e deportati dalle loro terre, che gli stranieri terranno in colonia per mezzo secolo e più, sotto copertura militare. Popolazioni affamate, prive di diritti e di speranze.
Secondo l'Oakland Institute, gli investitori stranieri si sono già accaparrati nella sola Africa circa 60 milioni di ettari di terra arabile, una superficie pari a quella dell’intera Francia. «Gli stessi gruppi finanziari che ci hanno condotto a una crisi di scala globale, gonfiando una bolla speculativa immobiliare con manovre assai rischiose, stanno ora replicando lo stesso gioco sulla filiera alimentare globale», afferma Anuradha Mittal, direttrice esecutiva dell'istituto. «È una vergogna che nel mondo occidentale, mentre dipingiamo l’Africa con compassione e ci dilunghiamo in chiacchiere su fame e corruzione, siamo al tempo stesso responsabili del furto delle sue terre e del tentativo di trasformarla nel granaio del ricco Nord».
Il rapporto, focalizzato su sette paesi africani, mette in luce gli intrighi affaristici ben occultati dalle società e dai governi coinvolti. In pole position si trova Emergent Asset Management, con sede nel Regno Unito e in Sudafrica, guidata da avidi “esuli” di JP Morgan e Goldman Sachs.
Vengono citati la Sierra Leone, reduce dai genocidi dei soldati-bambino, dove la terra è ceduta a 2 dollari americani per ettaro, lo Zambia, il cui territorio è per il 94% gestito capi tribù spesso facili da corrompere e l’Etiopia, dove 700.000 persone sono già state “ricollocate” in nuove aree, mentre gli stranieri radono al suolo i villaggi per le nuove colture intensive.
Frederic Mousseau, direttore politico dello Oakland Institute, accenna anche al fatto che il malessere e i traffici occulti legati a queste operazioni possono comportare rischi per la sicurezza globale e il terrorismo. Nelle sue conclusioni, il rapporto evidenzia che il land-grabbing sta conducendo alla deportazione di milioni di persone, famiglie di piccoli agricoltori, in forza di accordi conclusi da lontani burocrati governativi o capi tribù locali. «Ci è stato sempre detto che la chiave dello sviluppo è aiutare i piccoli agricoltori locali», riprende Anuradha Mittal. «Invece, nella corsa all’agricoltura industriale e alla produzione di biocombustibili, tutti paiono disposti a sacrificare le donne contadine e le comunità indigene, senza offrire alcuna soluzione per il loro futuro in Africa».
Dario Dongo
Per maggiori informazioni:
Domande e risposte sul rapporto dell'Oakland Institute
Video conferenza del direttore esecutivo dell'Oakland Institute, Anuradha Mittal
Un nuovo rapporto del think tank californiano Oakland Institute, Understanding Land Investment Deals in Africa, rivela i nomi degli investitori europei e americani che partecipano in silenzio all’usurpazione delle terre in Africa.
Il rapporto non tralascia di considerare le disinvolte operazioni delle imprese di paesi emergenti come la libica Malybia in Mali o la saudita Saudi Star in Etiopia, ma si sofferma soprattutto su quanto viene realizzato dai fondi speculativi d’investimento dei paesi occidentali, che offrono rendimenti del 20-40% annui.
A fronte di così generose promesse di resa, anche spettabili enti come l'università di Harvard, la Vanderbilt University di Nashville o lo Spelman College di Atlanta hanno saputo “chiudere gli occhi”, ignorando dove e in che modo i loro risparmi vengono utilizzati. Cash is the king, negli Stati Uniti come in Europa e in Africa, e il concetto di investimento responsabile non tocca chi non è costretto a rispettarlo.
Ma qual è il prezzo, chi ne fa le spese? I fondi di investimento speculativi (hedge-fund) mettono la paglia (vale a dire, mettono sul tavolo le grandi somme per accaparrare enormi appezzamenti di terra), accendono il fuoco (cioé partecipano alla realizzazione delle infrastrutture che servono a realizzare mega-progetti di agricoltura intensiva) e quando la fiamma è viva, scappano. Dopo 5-6 anni dall’avvio delle operazioni, vendono le loro quote con exit-strategies dai profitti strabilianti, spesso pure esenti da imposte grazie alla connivenza con i governi corrotti che svendono i campi dei loro sudditi. A restare indietro, abbandonati a loro stessi, sono i popoli depredati e deportati dalle loro terre, che gli stranieri terranno in colonia per mezzo secolo e più, sotto copertura militare. Popolazioni affamate, prive di diritti e di speranze.
Secondo l'Oakland Institute, gli investitori stranieri si sono già accaparrati nella sola Africa circa 60 milioni di ettari di terra arabile, una superficie pari a quella dell’intera Francia. «Gli stessi gruppi finanziari che ci hanno condotto a una crisi di scala globale, gonfiando una bolla speculativa immobiliare con manovre assai rischiose, stanno ora replicando lo stesso gioco sulla filiera alimentare globale», afferma Anuradha Mittal, direttrice esecutiva dell'istituto. «È una vergogna che nel mondo occidentale, mentre dipingiamo l’Africa con compassione e ci dilunghiamo in chiacchiere su fame e corruzione, siamo al tempo stesso responsabili del furto delle sue terre e del tentativo di trasformarla nel granaio del ricco Nord».
Il rapporto, focalizzato su sette paesi africani, mette in luce gli intrighi affaristici ben occultati dalle società e dai governi coinvolti. In pole position si trova Emergent Asset Management, con sede nel Regno Unito e in Sudafrica, guidata da avidi “esuli” di JP Morgan e Goldman Sachs.
Vengono citati la Sierra Leone, reduce dai genocidi dei soldati-bambino, dove la terra è ceduta a 2 dollari americani per ettaro, lo Zambia, il cui territorio è per il 94% gestito capi tribù spesso facili da corrompere e l’Etiopia, dove 700.000 persone sono già state “ricollocate” in nuove aree, mentre gli stranieri radono al suolo i villaggi per le nuove colture intensive.
Frederic Mousseau, direttore politico dello Oakland Institute, accenna anche al fatto che il malessere e i traffici occulti legati a queste operazioni possono comportare rischi per la sicurezza globale e il terrorismo. Nelle sue conclusioni, il rapporto evidenzia che il land-grabbing sta conducendo alla deportazione di milioni di persone, famiglie di piccoli agricoltori, in forza di accordi conclusi da lontani burocrati governativi o capi tribù locali. «Ci è stato sempre detto che la chiave dello sviluppo è aiutare i piccoli agricoltori locali», riprende Anuradha Mittal. «Invece, nella corsa all’agricoltura industriale e alla produzione di biocombustibili, tutti paiono disposti a sacrificare le donne contadine e le comunità indigene, senza offrire alcuna soluzione per il loro futuro in Africa».
Dario Dongo
Per maggiori informazioni:
Domande e risposte sul rapporto dell'Oakland Institute
Video conferenza del direttore esecutivo dell'Oakland Institute, Anuradha Mittal