Filippine: a Palawan indigeni minacciati dalle palme da olio
by Marta Gatti
Nella provincia di Palawan, nelle Filippine, almeno 9.000 ettari sono stati convertiti in piantagioni di palma da olio che alimentano il mercato mondiale. Causando indigeni privati del sostentamento e contadini indebitati: ecco gli effetti dell'espansione di questa monocoltura denunciati dalla Coalizione contro il land grabbing.
Nelle Filippine le palme da olio minacciano i territori ancestrali degli indigeni Pala’wan. Sarebbero almeno 9.000 gli ettari convertiti in piantagioni. Vaste aree di foresta primaria e secondaria sono state abbattute per ospitare le palme nella provincia di Palawan, dichiarata Riserva della Biosfera dall’Unesco.
Nel suo bollettino annuale la Coalizione contro il land grabbing (Calg), nata nelle Filippine, denuncia numerosi casi di accaparramento nel paese e dà voce ai conflitti tra le compagnie della palma e la popolazione locale. Tra le aziende che operano sull’isola ci sono: Agumil Philippines Inc., una joint venture tra Malesia e Filippine, e la compagnia Palawan Palm & Vegetable Oil Mills Inc. tra Singapore e Filippine. L’olio estratto dalle compagnie è destinato all’esportazione verso Singapore, Malesia, Cina e poi in tutto il mondo.
Palawan tra corruzione e terre indigene
Palawan è patrimonio Unesco e Riserva della Biosfera, viene considerata l’ultima frontiera ecologica delle Filippine. Le compagnie che si insediano nella provincia necessitano di un permesso dal dipartimento dell’Ambiente e delle risorse naturali e devono ottenere il via libera del Palawan Council for Sustainable Development. L’agenzia, che ha ricevuto fondi anche dall’Unione Europea, si occupa di proteggere e favorire lo sviluppo sostenibile del territorio di Palawan. L’isola è suddivisa in zone con diversi livelli conservazione della biodiversità, a seconda delle caratteristiche ecologiche e dell’altitudine.
«La corruzione e le scelte miopi delle amministrazioni locali hanno favorito l’ingresso delle compagnie della palma da olio, ignorando le leggi che dovrebbero tutelare l’ambiente e i diritti delle popolazioni indigene», sottolinea Dario Novellino, antropologo e ricercatore del Centro per la Diversità Bioculturale dell’Università di Kent e difensore dell’ambiente e dei diritti umani.
Il ricercatore ha vissuto insieme alle popolazioni indigene di Palawan dal 1986 e ancora oggi si reca regolarmente nel paese. Prima ha visto arrivare i migranti sfrattati da altre province alla ricerca di terre, poi le compagnie minerarie e infine le aziende della palma da olio.
L’ingresso nel paese dei produttori di olio di palma viene incoraggiato dal governo filippino. Le province maggiormente interessate dall’impianto di nuove piantagioni sono Mindanao e Palawan. L’obiettivo proclamato è quello di convertire le Filippine da importatore netto ad esportatore dell’olio vegetale.
Filippine: demarcazione terre in salita per gli indigeni
Secondo Dario Novellino, «la legge filippina per la demarcazione delle terre indigene(The Indigenous People’s Rights Act) è la migliore in Asia». Eppure, spiega il difensore dei diritti e dell’ambiente,
«i certificati per il riconoscimento dei territori ancestrali vengono rilasciati solo dopo una lunga procedura burocratica che richiede una documentazione scritta dettagliata e molto denaro».
Sono pochi gli indigeni che conoscono una lingua scritta e difficilmente le comunità sono in possesso delle somme necessarie ai pagamenti. «Per demarcare un territorio indigeno possono servire fino a 20-25.000 euro», spiega.
Dario Novellino conosce da vicino la problematica perché sostiene le comunità indigene nel reclamare il loro territorio. Il primo passo per ottenere diritti collettivi sulla terra è identificare i leader tradizionali della comunità, definire i confini e fornire prove a supporto del numero di persone che dipendono dall’ambiente naturale e della loro appartenenza culturale ad un determinato territorio.
«La documentazione iniziale viene raccolta e protocollata dalla National Commission on Indigenous Peoples e diventa una prima arma difensiva contro le compagnie». Si tratta di un documento preliminare in vista della demarcazione e del riconoscimento formale da parte del governo, per cui possono servire anni.
Nelle Filippine è difficile ottenere giustizia
Intentare cause contro le compagnie della palma da olio o le imprese minerarie non è facile. «I tempi della giustizia sono biblici e spesso i termini delle cause decadono senza che gli indigeni ottengano il minimo compenso per i danni ricevuti», dice l’antropologo. Che aggiunge: « Le compagnie riescono a comprare anche i giudici».
Non vanno meglio le cause contro gli assassini dei difensori dei diritti umani e dell’ambiente o i leader indigeni. «Nel 2016 è stato ucciso uno dei membri del Calg. Gli hanno sparato mentre tornava da un meeting», racconta Novellino. Aggiungendo che i parenti delle vittime hanno paura di intentare cause per non finire a loro volta nel mirino.
Il paese del Sud-est asiatico risulta al terzo posto per numero di attivisti uccisi nel 2018, secondo i dati raccolti da Front Line Defenders (leggi Filippine: Duterte contro Onu e difensori del diritto alla terra).
Palawan: indigeni delle Filippine senza cibo e foresta
Secondo la Calg, l’avanzata delle compagnie della palma nei territori indigeni avrebbe conseguenze devastanti. L’espansione delle piantagioni avrebbe provocato la distruzione di alcune foreste ancestrali e delle risorse naturali alla base del sostentamento delle popolazioni indigene. «Oggi ci sono villaggi che non solo non riescono più a coltivare i loro campi, ma non trovano neppure foglie e legname per costruire le capanne», racconta Dario Novellino.
Il ricercatore riporta testimonianze degli indigeni Pala’wan sulla presenza di parassiti provenienti dalle piantagioni di palma da olio, che attaccano i campi e le piante di cocco. Le monocolture, inoltre, riducono la biodiversità animale e vegetale e spesso necessitano di fertilizzanti, pesticidi e erbicidi chimici. Il bollettino 2018 di Calg sottolinea anche il mutamento di alimentazione tra gli indigeni: beni di largo consumo al posto dei prodotti tradizionali.
«Nei territori devastati dalla palma da olio diventa sempre più difficile praticare caccia, pesca e raccolta dei frutti spontanei a causa della perdita di copertura forestale e dell’inquinamento dei fiumi», spiega l’antropologo.
La conversione dei terreni in piantagioni ha provocato la scomparsa di piante medicinaliutilizzate dagli indigeni. « Devono percorrere lunghe distanze per recuperarle o sono costretti ad acquistare farmaci senza ricetta medica».
La palma da olio divide le comunità indigene
L’arrivo delle compagnie della palma, in molti casi, ha diviso al loro interno le comunità tra favorevoli e contrari. Ha provocato la perdita dei meccanismi di protezione sociale e delle pratiche collettive.
«Popolazioni fortemente ugualitarie, per la prima volta, sperimentano conflitti interni che interferiscono con i meccanismi di reciprocità legati alla distribuzione del cibo e al lavoro nei campi», dice l’antropologo.
Schiavi della palma da olio nelle Filippine
«Molti hanno firmato contratti scritti in inglese senza conoscerne il contenuto», spiega Dario Novellino. E aggiunge: «Hanno creduto alle promesse delle compagnie: guadagno facile e migliore tenore di vita». Per coltivare la palma, i contadini hanno ricevuto fondi dalla Banca Agricola delle Filippine e dalla compagnia Agumil, pensando fossero sussidi o prestiti a basso interesse. « Hanno scoperto, però, che gli interessi sono cumulativi, con tassi fino al 14%», dice il ricercatore. «Sono indebitati fino al collo, ci vorranno decenni prima che possano riscattare i debiti».
I piccoli contadini hanno convertito buona parte delle loro terre a palma da olio. Secondo le testimonianze, la compagnia Agumil avrebbe impedito la coltivazione di prodotti tradizionali come la cassava, tra un filare e l’altro. E la Banca Agricola Filippina ha tenuto a garanzia del rientro del loro investimento i titoli di possesso della terra: se i prestiti non saranno restituiti, i contadini rischiano di perdere i campi.
Secondo Novellino, i produttori di palma hanno operato senza trasparenza, non ottenendo neppure il consenso libero, previo e informato delle comunità indigene, come invece prevede la legge. E tornare indietro è impossibile.
«Ho assistito al tentativo, da parte di un indigeno, di eliminare una pianta di palma dal suo campo: aveva bucato la palma cercando di bruciarne il midollo, ma la pianta è sopravvissuta».
Novellino spiega come i contratti delle compagnie, della durata di 25 anni rinnovabili, coincidano con il periodo di produttività della palma da olio. Il ripristino delle aree messe a cultura con piante più giovani, secondo il ricercatore, sarebbe molto costoso, quindi le compagnie della palma preferirebbero acquisire nuovi terreni vergini e abbandonare quelli già sfruttati. « Nei prossimi decenni un numero crescente di indigeni e contadini saranno costretti a vivere su terreni in buona parte improduttivi, a causa del ripetuto uso di prodotti chimici, senza avere i mezzi per bonificare tali aree».
Compagnie della palma da olio: le promesse mancate
Secondo la Calg, i posti di lavoro promessi dalle compagnie sono molto meno del previsto e sono spesso occupati da migranti, anziché da membri delle comunità locali. Oggi i lavoratori, in molti casi, ricevono il minimo sindacale ma non c’è alcun tipo di assicurazione o di tutela dei diritti. «Ci sono lavoratori che devono spruzzare i pesticidi pericolosi senza alcuna protezione», dice Novellino. E a questo si aggiunge il cronico ritardo nel pagamento del salario. La mancanza di liquidità costringe il lavoratori ad acquistare beni di prima necessità presso gli spacci delle aziende della palma, indebitandosi con gli stessi che dovrebbero pagarli.