L'ultimo fronte del “land grabbing”: il Mali

Corriere della Sera | 18.11.2011
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Il Mali è l'ultimo fronte quotidiano del “land grabbing”, l’accaparramento delle terre da parte di Paesi stranieri e/o multinazionali varie. Secondo l’americano Oakland Institute e l’organizzazione dei contadini maliani, dalla fine del 2010 ben 544mila ettari di terra – che darebbero lavoro a più di mezzo milione di agricoltori - sono stati o sono in via di “razzia”. Che si aggiungono a un incremento del 60% di “investimenti stranieri” già registrato in Mali (175° Paese su 187 nell’elenco dello Sviluppo Umano dell’Onu) tra il 2009 e l’anno scorso.

Il pretesto ufficiale per l’affitto o l’acquisto di terre da parte di fondi, società e nazioni è la volontà di “garantire la sicurezza alimentare” in patria. Implicito e inevitabile sottotesto, a danno dei Paesi “comprati”. Proprio in Mali, nel sud del Paese, a Nyeleni/Selinguè si è aperta ieri la prima International Peasant Conference, la Conferenza Internazionale degli Agricoltori Rurali, contro il fenomeno del land grabbing: un fenomeno che continuiamo a ignorare nonostante riguardi 45 milioni di etteri di terra nel mondo, di cui 30 milioni in Africa.

In Mali, poi, in particolare, il 40% degli appezzamenti comprati o affittati dovrebbero essere utilizzate per la produzione di biocarburanti, nonostante il governo avesse assicurato che gli investimenti erano diretti a trasformare il Paese in uno dei grandi fornitori alimentari della regione. Gran parte di questi contratti (sottolinea il quotidiano inglese The Guardian) ha come oggetto campi di proprietà pubblica, dove i diritti informali delle comunità che ci vivono non sono garantiti dalla legge.

Il fenomeno del “land grabbing” si estende giorno dopo giorno nella sostanziale indifferenza dell'Occidente. Ma prima o poi il movimento che lo contrasta riuscirà a far sentire la propria voce. E dovremo finalmente guardare negli occhi anche gli Indignados della terra e le loro rivendicazioni.

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